A cura di Pasquale La Selva
Il 9 novembre 2017, il Consiglio dell’Autorità Nazionale Anticorruzione ha approvato in via definitiva la delibera n. 1134 recante «Nuove linee guida per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e dagli enti pubblici economici».
Il nuovo quadro normativo e l’ambito di applicazione
Le linee guida operano nel quadro normativo del d.lgs. 97/2016 recante “Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione e corruzione, pubblicità e trasparenza, correttivo della legge 6 novembre 2012, n. 190 e del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ai sensi dell’articolo 7 della legge 124/2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche” e del d.lgs. 175/2016 “Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica” come modificato dal d.lgs. 100/2017.
La principale novità in materia di trasparenza del d.lgs. 97/2016, è l’introduzione dell’ambito soggettivo di applicazione delle disposizioni dell’intero decreto relativamente all’accesso civico generalizzato e agli obblighi di pubblicazione, con l’aggiunta del nuovo art. 2-bis al d.lgs. 33/2013.
L’art. 2-bis è composto di tre commi: al primo contiene un richiamo all’ art. 1, co. 2, del d.lgs. 165/2001 per la definizione di “pubbliche amministrazioni”; al secondo comma si dispone che la disciplina dettata dal d.lgs. 33/2013 si applica, in quanto compatibile, anche a enti pubblici economici e ordini professionali, società in controllo pubblico ad esclusione delle società quotate come disposto dal d.lgs. 175/2016, associazioni, fondazioni e enti di diritto privato, anche privi di personalità giuridica, con bilancio superiore a € 500.000, la cui attività sia finanziata in modo maggioritario per almeno due esercizi finanziari consecutivi nell’ultimo triennio da pubbliche amministrazioni e in cui la totalità dei titolari o dei componenti dell’organo di amministrazione o di indirizzo sia designata da pubbliche amministrazioni; al terzo comma si dispone che la medesima disciplina prevista per le pubbliche amministrazioni di cui al comma 1 si applica “in quanto compatibile, limitatamente ai dati e ai documenti inerenti all’attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell’Unione europea, alle società in partecipazione pubblica e alle associazioni, alle fondazioni e agli enti di diritto privato anche privi di personalità giuridica, con bilancio superiore a cinquecentomila euro, che esercitano funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici”.
Le linee guida, precisando l’ambito di applicazione, confermano la distinzione operata dalla determinazione n. 8/2015 tra enti di diritto privato in controllo pubblico, tenute alla trasparenza tanto relativamente alla loro organizzazione quanto relativamente al complesso delle attività svolte, e altri enti di diritto privato non in controllo pubblico, tenuti alla trasparenza solo relativamente alle attività di pubblico interesse svolte.
Restano escluse dall’applicazione delle suddette linee guida le società quotate. L’ANAC però ha sottolineato che si occuperà in futuro di delineare con maggiore precisione l’ambito soggettivo di applicazione della legge 4 agosto 2017, n. 214 “Legge annuale per il mercato e la concorrenza” i cui commi 125, 126 e 127, art. 1, impongono una serie di obblighi rivolti a soggetti privati, a decorrere dal 2018, di pubblicazione dei dati relativi a sovvenzioni e incarichi ricevuti dalle PA e dai soggetti di cui all’art. 2-bis d.lgs. 33/2013.
In ordine alle misure di prevenzione della corruzione diverse dalla trasparenza, il decreto legislativo di riforma, ossia il d.lgs. 97/2016, aggiungendo il co. 2-bis all’art. 1 della l. 120/2012, prevede che le pubbliche amministrazioni e soggetti equiparati siano destinatari delle indicazioni contenute nel Piano Nazionale Anticorruzione (PNA) ma a regimi differenziati. Il quadro appare così delineato:
- Le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1 co. 2 d.lgs. 165/2001 sono tenute ad adottare il Piano di prevenzione della corruzione e della trasparenza (PTPC).
- I soggetti di cui all’art. 2-bis, co. 2, d.lgs. 33/2013 sono tenuti ad adottare misure integrative di quelle adottate ai sensi del d.lgs. 231/2001 (enti pubblici economici, ordini professionali, società in controllo pubblico).
- I soggetti di cui all’art. 2-bis, co. 3, del d.lgs. 33/2013 sono invece esclusi dall’ambito di applicazione delle misure di prevenzione della corruzione, diverse dalla trasparenza.
La nuova disciplina per categorie di soggetti: le società in controllo pubblico
Il co. 2-bis dell’art. 1 della l. 190/2012 introdotto dal d.lgs. 97/2016 ha reso obbligatoria l’adozione delle misure integrative del “modello 231”, ma non ha reso obbligatoria l’applicazione del modello medesimo. L’Autorità Nazionale Anticorruzione, nelle sue linee guida consiglia fortemente comunque l’adozione di tale modello, e ove le società decidano di adottare semplicemente il documento contenente le misure anticorruzione, la scelta dovrà essere adeguatamente giustificata all’ANAC, che in sede di vigilanza verificherà la qualità di tali misure.
Le misure volte alla prevenzione della corruzione da adottarsi ai sensi della l. 190/2012 sono elaborate dal Responsabile della prevenzione e della corruzione di concerto con l’Organismo di vigilanza e sono adottate dall’organo di indirizzo della società, da individuare nel consiglio di amministrazione o organo con funzioni equivalenti. La predisposizione delle misure di prevenzione della corruzione non può essere effettuata da soggetti estranei alla società.
Le misure saranno idoneamente pubblicate all’interno della società, sul sito internet della stessa, e ove questa manchi, l’amministrazione controllante si occuperà di dedicare un’apposita sezione sul proprio sito web per la pubblicazione delle informazioni e documentazioni della controllata.
L’ANAC ha individuato anche i contenuti minimi delle misure, partendo dall’individuazione delle aree di attività nelle quali si potrebbero verificare fatti corruttivi ex art. 1 c. 9 l. 190/2012 e art. 6 d.lgs. 231/2001. L’analisi viene effettuata partendo dalle attività generali della società, per poi giungere alle attività più specifiche, disegnando così una “mappa delle aree a rischio”.
Secondo step per la definizione del sistema di gestione del rischio è la valutazione del sistema di controllo interno previsto dal “modello 231” ove previsto, se invece questo manchi, e quindi l’ente risulti sprovvisto di un sistema volto alla prevenzione della corruzione, si procederà ad introdurre nuovi principi e strutture di controllo.
Terzo step è l’adozione di un codice etico o di comportamento approvato ai sensi del d.lgs. 231/2001, o in alternativa, l’adozione di un apposito codice con particolare attenzione alla disciplina dei comportamenti rilevanti ai fini della corruzione dei reati di corruzione. L’inosservanza del codice può dar luogo a sanzioni disciplinari.
Al fine di tutelare la trasparenza e contrastare la corruzione, le linee guida disciplinano dettagliatamente tutti i casi di inconferibilità specifiche per gli incarichi di amministratore e per gli incarichi dirigenziali la cui disciplina promana dal d.lgs. 39/2013. All’interno delle società è necessario che sia previsto un sistema di verifica della sussistenza di eventuali condizioni ostative in capo a coloro che rivestono incarichi di amministratore, cioè, come definisce l’art. 1 co. 2, lett. l del d.lgs. 39/2013 “gli incarichi di presidente con deleghe gestionali dirette, amministratore delegato e assimilabili, di altro organo di indirizzo dell’attività dell’ente comunque denominato” e a coloro cui sono conferiti incarichi dirigenziali. Per gli amministratori, le specifiche cause ostative individuate dal d.lgs. 39/2013 sono:
- Inconferibilità di incarichi in caso di condanna per reati contro la pubblica amministrazione ex art. 3, co. 1, lett. d;
- Inconferibilità di incarichi a componenti di organo politico di livello regionale e locale ex art. 7;
A queste ipotesi si aggiunge quella prevista dall’art. 11 c. 11 d.lgs. 175/2016 ai sensi del quale «nelle società di cui le amministrazioni pubbliche detengono il controllo indiretto, non è consentito nominare, nei consigli di amministrazione o di gestione, amministratori della società controllante, a meno che siano attribuite ai medesimi deleghe gestionali a carattere continuativo ovvero che la nomina risponda all’esigenza di rendere disponibili alla società controllata particolari e comprovate competenze tecniche degli amministratori della società controllante o di favorire l’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento».
Le società adottano le misure necessarie ad assicurare che: a) negli atti di attribuzione degli incarichi o negli interpelli siano inserite espressamente le condizioni ostative al conferimento dell’incarico; b) i soggetti interessati rendano la dichiarazione di insussistenza delle cause di inconferibilità all’atto del conferimento dell’incarico; c) sia effettuata dal Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza eventualmente in collaborazione con altre strutture di controllo interne alla società, un’attività di vigilanza sulla base di una programmazione che definisca le modalità e la frequenza delle verifiche anche su segnalazione di soggetti interni ed esterni[1].
All’interno delle società è necessario che sia previsto un sistema di verifica delle eventuali situazioni di incompatibilità per gli incarichi di amministratore o incarichi dirigenziali, indicate dal d.lgs. 39/2013, come ad esempio con gli incarichi di diritto privato, gli incarichi in organi di indirizzo nelle amministrazioni statali o locali o ancora con specifici incarichi nel settore sanitario. Importante è la incompatibilità con la qualifica di dipendente delle amministrazioni pubbliche controllanti o vigilanti[2].
In ragione di tale incompatibilità, le linee guida si propongono di rimarcare la necessità di rispettare l’art. 53 c. 16-ter del d.lgs. 165/2001, secondo il quale le società adottano misure necessarie ad evitare l’assunzione di dipendenti che abbiano esercitato poteri autoritativi per conto di pubbliche amministrazioni negli ultimi tre anni.
Quanto alla segnalazione di illeciti da parte dei dipendenti, per una trattazione approfondita della nuova legge sul whistleblowing, si rimanda a questo articolo.
Un rischio sentito, nonché un forte fattore di corruzione è dato dalla possibilità che un soggetto possa sfruttare un potere o una conoscenza nella gestione di processi caratterizzati da discrezionalità e da relazioni intrattenute con gli utenti per ottenere vantaggi illeciti. A tal riguardo, l’Autorità auspica, nel rispetto della legge 190/2012, l’applicazione del principio di rotazione dei soggetti preposti alla gestione di processi più esposti alla corruzione. La rotazione non deve comunque tradursi nella sottrazione di competenze professionali specialistiche.
Quanto alla figura del Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT), le linee guida, oltre a prevedere la presenza di tale figura nelle società, ne riconosce anche i poteri di vigilanza sull’attuazione effettiva delle misure. Il Responsabile è nominato dall’organo di indirizzo della società o dal consiglio di amministrazione, e i dati relativi alla nomina devono essere trasmessi all’ANAC, mentre l’eventuale revoca dovrà essere motivata. Inoltre, l’Autorità ritiene che il ruolo di RPCT debba essere attribuita ad un dirigente della società, ma ove la società sia priva di dirigenti, la scelta dovrà ricadere su di una figura non dirigenziale.
In ultima istanza, la sezione trasparenza, nella quale sono individuate le misure organizzative volte ad assicurare la regolarità e la tempestività dei flussi delle informazioni da pubblicare, confluiscono in una apposita sezione del documento contenente le misure di prevenzione della corruzione integrative del “modello 231”. Nella sezione trasparenza vanno altresì definite le misure organizzative volte a dare attuazione al diritto di accesso generalizzato; un esempio sarebbe la costituzione di appositi uffici o la regolazione della trattazione delle richieste di accesso[3].
[1]Cfr delibera ANAC n. 833 del 3 agosto 2016.
[2] Art. 11, comma 8, d.lgs. 175/2016.
[3] Al riguardo si rinvia alla delibera n. 1309/2016 dell’ANAC.