Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato: raffronto con le ipotesi ex artt. 640 bis e 316 bis del codice penale

A cura di: dott.ssa Claudia Ercolini

La legge 300 del 2000 ha introdotto, nel nostro sistema penale, la fattispecie di “indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato” di cui al 316 quater c.p., ponendosi in linea di continuità con gli interventi del 1990, volti alla introduzione delle ipotesi di “malversazione a danno dello Stato” di cui al 316 bis c.p. e della “truffa aggravata” ex 640 bis c.p.

È possibile, infatti, delineare una comune ratio di riferimento: la repressione delle frodi aventi ad oggetto le sovvenzioni nazionali o comunitarie, perpetrate tramite condotte di abusiva captazione o distrazione dei finanziamenti pubblici.

Ebbene l’art. 316 ter c.p. incrimina, salvo che il fatto costituisca il reato previsto dal 640 bis c.p., la condotta di “Colui che mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici i dalle Comunità Europee”.

Dunque il legislatore, tramite tale norma, ha voluto completare il sistema di tutela colmando la precedente lacuna riscontrata nel sistema penale: la mancata incriminazione delle condotte volte al conseguimento illegittimo delle erogazioni pubbliche incentivanti, senza tuttavia integrare gli artifici e i raggiri propri della truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. [1]

Pertanto, giova in primo luogo evidenziare, il rapporto di sussidiarietà tra gli articoli 316 ter c.p. e 640 bis c.p., desumibile dalla clausola di riserva posta nell’incipit della prima norma e confermato dalle Sezioni Unite nel 2007 : “ Il delitto di indebita percezione a danni dello Stato è in rapporto di sussidiarietà e non di specialità con quello della truffa aggravata, in quanto il primo reato, residuale e meno grave, si configura solo quando difettino nella condotta gli estremi della truffa, come nel caso di situazioni qualificate dal mero silenzio antidoveroso o dalla assenza di induzione in errore dall’autore della disposizione patrimoniale”.

Dunque, ai fini dell’integrazione del 316 ter c.p., è sufficiente il mero mendacio, ovvero le semplici dichiarazioni che siano non veritiere ma allo stesso tempo non fraudolente.

Dunque, l’elemento presente nella truffa e non nel delitto di cui al 316 ter c.p. è costituito proprio dagli artifizi e raggiri e dalla loro idoneità ingannatoria, ovvero la capacità di indurre in errore l’ente erogatore.

Tuttavia il semplice silenzio antidoveroso o la semplice condotta di falso non sono di per sé sufficienti ad escludere la configurazione del 640 bis c.p.: tali condotte potranno, infatti, assumere connotati fraudolenti ed ingannatori, tali da indurre in errore ed integrare l’ipotesi della truffa.

Definita tale differenza, possiamo identificare, con più precisione, il bene giuridico tutelato dalla norma: questo è rappresentato dagli interessi finanziari della P.A. nazionale e comunitaria e dal connesso buon andamento della stessa, con particolare riferimento all’aspetto della corretta allocazione delle risorse.

Circa il soggetto attivo del reato si identifica in “chiunque”, pertanto il reato verrà integrato da un qualsiasi soggetto, purchè sia estraneo alla P.A.

Si tratta dunque di un reato comune, di pericolo e a condotta interamente vincolata, data la indicazione rigida delle modalità attuative da parte della norma.

In particolare vengono descritte due tipologie di condotte: commissive ed omissive. La prima risulta integrata attraverso l’utilizzo o comunque la presentazione, ai pubblici funzionari incaricati del vaglio, di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere. Il termine utilizzare, invece, viene impiegato nel significato di “servirsi di qualcosa”, che però non viene “prodotto” o allegato, ossia trasferito materialmente nella sfera di disponibilità del destinatario. Il verbo presentare è qui sinonimo di esporre, mostrare o far conoscere.

Documento, poi, è l’atto scritto che contiene dati, nozioni o notizie e a tale ampia categoria vanno ricondotti anche i documenti informatici, fonici o audiovisivi. La dichiarazione, al contrario, è una manifestazione solo verbale, non cristallizzata in un supporto. Tali documenti e dichiarazioni devono poi, per espressa dizione normativa, essere falsi attestanti cose non vere, secondo una dizione volutamente ampia, che abbraccia ogni tipo di falsità, sia essa ideologica o materiale.

La ulteriore condotta, invece, è di tipo omissivo, deve ovviamente trattarsi dell’omissione di informazioni dovute: queste devono trovare fondamento in una richiesta espressa dell’ente erogatore nel corso dell’istruttoria, finalizzata alla concessione del finanziamento o risultare imposte dal principio di buona fede precontrattuale ex art. 1337 c.c.

Inoltre, sia le dichiarazioni e i documenti falsi, sia le omissioni devono naturalmente presentarsi determinanti, ovvero causalmente efficienti, in relazione all’esito positivo del percorso burocratico che conduce all’erogazione economica finale.

Per ciò che concerne il coefficiente psicologico preteso dal tipo legale in esame, questo è rappresentato dal dolo generico. La forma omissiva di realizzazione del modello legale, inoltre, presuppone pacificamente la conoscenza — da parte del soggetto agente — delle informazioni rilevanti e della incidenza di queste sulla spettanza delle erogazioni.

Infine possiamo evidenziare la stretta vicinanza tra tale fattispecie di reato e quella dell’art. 316 bis c.p. volta alla incriminazione della condotta di “malversazione a danno dello Stato”.

La Cassazione nel 2008[2] si è espressa proprio al fine di mettere in luce il discrimen” tra le due tipologie di reato: “Mentre l’articolo 316 bis del c.p. è diretto a reprimere la distrazione dei contributi pubblici dalle finalità per le quali erano stati erogati e si riferisce necessariamente ai contributi connotati appunto da un tale vincolo di destinazione, l’art. 316 ter c.p., essendo destinato a reprimere la percezione di per sé indebita dei contributi, indipendentemente dalla loro successiva destinazione, è applicabile anche a erogazioni non condizionate da particolari destinazioni funzionali”

Di fatto, analizzandone i rapporti, si dovrebbe giungere alla conclusione che tra le due fattispecie non si ponga un problema di concorso di reati, bensì di concorso apparente di norme. Pertanto, colui che mediante la presentazione di documenti falsi ottiene un finanziamento pubblico e successivamente lo destina a finalità diverse da quelle della causale o a finalità private dovrebbe, di conseguenza, essere punito ai sensi dell’art. 316 ter c.p. [3]

Il problema sorge, però, in quanto l’art. 316 ter c.p. è sanzionato meno gravemente rispetto all’art. 316 bis, non potendo operare, dunque, il principio dell’assorbimento. Perciò, è preferibile una soluzione diversa che inquadra i rapporti tra le due fattispecie all’interno della categoria del concorso di reati, disciplina sanzionatoria che sarà, il più delle volte, mitigata dall’istituto del reato continuato ex art. 81 c.p.

[1] GALLI R., (2017). Nuovo corso di diritto penale. Cedam, Italia, Milano.

[2] Sentenza del 26 settembre 2008, n. 36975

[3]http://www.treccani.it/enciclopedia/indebita-percezione-di-erogazioni-a-danno-dello-stato_(Diritto-on-line)/

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