A cura di Rossella Santonicola
I Codici di comportamento, codici di condotta, codici etici, codici deontologici o professionali sono strumenti volti al perseguimento di obbiettivi di integrità e trasparenza nelle pubbliche amministrazioni. La ratio dell’esistenza di tali codici risiede nella necessità di tipizzare le condotte illecite e tradurre i principi generali costituzionalmente sanciti in regole di condotta. Tali principi sono ad esempio il principio dell’articolo 54 della Costituzione che stabilisce il dovere dei “cittadini a cui sono affidate le funzioni pubbliche” di adempierle con disciplina ed onore.[1]
L’articolo 54 del decreto legislativo 165 del 2001 tratta dei codici di comportamento. Tale previsione legislativa prevede, al primo comma, che “il Dipartimento della funzione pubblica, sentite le confederazioni sindacali rappresentative ai sensi dell’articolo 43, definisce un codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, anche in relazione alle necessarie misure organizzative da adottare al fine di assicurare la qualità dei servizi che le stesse amministrazioni rendono ai cittadini”, se ne deduce dunque la necessità per le singole amministrazioni di integrare e specificare il suddetto “codice”. La novità di questo Codice risiede innanzitutto nel suo porsi non come testo “generale” eventualmente integrabile da parte delle singole amministrazioni, ma come “minimo” doverosamente suscettibile di essere ampliato e specificato. La previsione di codici per ciascuna amministrazione è confermata dal comma 5 della suddetta disposizione, ove si prevede che ”l’organo di vertice di ciascuna pubblica amministrazione verifica, sentite le organizzazioni sindacali rappresentative ai sensi dell’articolo 43 e le associazioni di utenti e consumatori, l’applicabilità del codice di cui al comma 1, anche per apportare eventuali integrazioni e specificazioni al fine della pubblicazione e dell’adozione di uno specifico codice di comportamento per ogni singola amministrazione”. Il comma 4 del suddetto articolo prevede inoltre che i principi del codice “vengano coordinati con le previsioni contrattuali in materia di responsabilità disciplinare” [2], ferme restando, così come precisa il comma 2 dell’articolo 1 d.P.R. 62/2013, le disposizioni riguardanti le altre responsabilità dei dipendenti.
La legge 190/2012 (art.1 comma 44) introduce novità significative all’articolo 54 del d.lgs. 165/2001. Infatti, il comma 2 dell’articolo 54 stabilisce oggi che “il codice, approvato con decreto del Presidente della Repubblica, previa approvazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, previa intesa in sede di Conferenza unificata, è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale e consegnato al dipendente, che lo sottoscrive all’atto dell’assunzione”[3] eliminando il riferimento al recepimento il riferimento ai contratti collettivi ed la ruolo dell’Aran e delle organizzazioni sindacali, così come era previsto per il passato. La ratio della sottoscrizione del codice da parte di ogni dipendente ha lo scopo di garantire l’effettiva conoscenza dello stesso al pubblico dipendente, vista l’importanza dei precetti in esso contenuti.
In virtù di quanto disposto dal menzionato articolo 54 del d.lgs. 165/2001 il codice di comportamento attualmente vigente è il d.P.R. n. 62 del 2013. L’economicità, l’efficacia, l’efficienza, la trasparenza, l’imparzialità e non discriminazione, la comunicazione tra amministrazioni, il rispetto di standard di qualità, assumono un rilievo nella dimensione soggettiva dei doveri del funzionario, così come l’hanno nella dimensione oggettiva della disciplina del dispiegarsi della funzione. Il Codice è costituito da 17 articoli e reca disposizioni riguardanti gli obblighi minimi di ciascun dipendente. I principi che il dipendente è tenuto a rispettare sono: integrità, correttezza, buona fede, proporzionalità, obiettività, trasparenza, equità e ragionevolezza e l’agire in posizione di indipendenza e imparzialità e l’astensione in caso di conflitto di interessi. Le azioni del dipendente devono essere ispirate alla massima economicità, efficienza ed efficacia. Il Codice, inoltre, statuisce il divieto di ricevere regali come corrispettivo per le prestazioni amministrative [4], così come è analiticamente dettato dall’articolo 4 del d.P.R. 62/2013 rubricato “Regali, compensi ed altre utilità”, a vigilare sull’applicazione della regola è il responsabile dell’ufficio. Vige l’obbligo di astensione dal prendere decisioni o svolgere attività inerenti alle sue mansioni in caso di conflitti di interessi, con interessi personali, del coniuge, di conviventi, di parenti, di affini entro il secondo grado. Il dipendente si astiene in tutti i casi in cui esistono gravi ragioni di convenienza ed a decidere su tale astensione è il responsabile dell’ufficio di appartenenza. Si segnala che il conflitto di cui si parla può essere di qualsiasi natura, anche non patrimoniale (articoli 6 e 7).
Il Codice deve essere integrato dei doveri relativi all’attuazione del Piano di prevenzione della corruzione dei quali la legge afferma la valenza ai fini disciplinari. Il Codice contiene dunque una “norma in bianco” di collegamento, una “clausola di ingresso” sulla scorta della quale “il dipendente rispetta le prescrizioni contenute nel piano”. Tali piani di prevenzione della corruzione rappresentano, unitamente con l’adozione di codici di comportamento, strumenti di prevenzione della corruzione, ed anzi rappresentano una delle misure gestionali chiave. Sono poi imposti al dipendente gli obblighi di trasparenza e tracciabilità (art.9). Il Codice prescrive i principi del comportamento durante il servizio quali: evitare ritardi salvo giustificati motivi, utilizzo dei permessi di astensione dal lavoro nel rispetto della legge, utilizzare il materiale di cui dispone solo per ragioni d’ufficio ed i servizi telematici nel rispetto dei vincoli posti dall’amministrazione (articolo 11).
Infine, si rivela indispensabile l’attività di formazione del personale disposta dall’ultimo comma dell’articolo 54, che infatti prevede: “le pubbliche amministrazioni organizzano attività di formazione del personale per la conoscenza e la corretta applicazione dei codici di cui al presente articolo”. Tali attività formative hanno lo scopo di fornire effetti nel lungo periodo contribuendo al perfezionamento dei pubblici dipendenti ed evitando che da questi si sviluppino comportamenti che favoreggiano lo sviluppo della corruzione nel settore pubblico. La formazione deve avere come obiettivo lo sviluppo di un’etica professionale condivisa e fornire ai dipendenti gli strumenti e i criteri generali per stabilire, nella fattispecie concreta, la regola da seguire.
[1] Articolo 54 comma 2 Costituzione: “i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore , prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”.
[2] Si precisa, in breve, che la responsabilità disciplinare consiste nella forma di responsabilità in cui incorre il lavoratore che viola obblighi contrattualmente assunti.
[3] art. 54.2 d.lgs. 165/2001
[4] Articolo 4 d.P.R. 62/2013.