A cura di: dott.ssa Valeria D’Alessio
La corruzione (artt. 318 ss. codice penale) è un reato che è ricompreso nel novero dei delitti contro la Pubblica Amministrazione. Questo è una fattispecie di reato plurisoggettivo, bilaterale, a concorso necessario.
La corruzione si spiega più semplicemente in una vicenda: un privato e un pubblico funzionario si accordano perché il primo corrisponda al secondo un compenso, a quest’ultimo ovviamente non dovuto, per un atto in vario modo attinente alle attribuzioni di quest’ultimo.
L’art. 318 c.p. statuisce in proposito che “il pubblico ufficiale, che, per compiere un atto del suo ufficio, riceve, per sè o per un terzo, in denaro od altra utilità, una retribuzione che non gli è dovuta, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Se il pubblico ufficiale riceve la retribuzione per un atto d’ufficio da lui già compiuto, la pena è della reclusione fino ad un anno”. Questa norma configura una fattispecie di corruzione impropria secondo la quale la condotta posta in essere dal pubblico ufficiale, era una condotta che avrebbe questo comunque dovuto compiere per perseguire i doveri del suo incarico, ma la fattispecie criminosa si esplica attraverso quello che è il compenso a lui devoluto e non dovuto.
La Suprema Corte sottolinea come il reato di cui alla norma suddetta (art. 318 c.p.), può configurarsi anche solo in presenza di un accordo avente ad oggetto l’indebita negoziazione della funzione pubblica a prescindere dall’esecuzione di specifici atti o attività, deponendo in tal senso proprio la riforma attuata con la l. n. 190/2012[1]. A tal proposito la Cassazione precisa ulteriormente che la contestazione del reato di corruzione per l’esercizio della funzione, quando indica come termine di riferimento l’esecuzione di specifici atti o attività non implica alcuna valutazione di questi in termini di contrarietà ai doveri d’ufficio e quindi non presuppone alcun sindacato sul contenuto degli stessi.
L’errore che più comunemente viene commesso in tema di corruzione, è di ritenere quindi erroneamente che vi sia differenza tra il corrotto e il corruttore; in realtà proprio per combattere questa fenomenologia, si è statuita l’indifferenza tra i due soggetti attivo e passivo, attribuendo ad entrambi la medesima pena; si configurano quindi reati propri o reati comuni: nel caso di reato proprio la parte del corrotto sarà necessariamente un pubblico ufficiale (ad esempio un agente di polizia); se si configura un reato comune il corruttore potrà essere un soggetto qualunque come ad esempio il privato cittadino.
Si parla di corruzione propria regolata a norma dell’art. 319 c.p. per la quale “un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio accetta la dazione o la promessa di denaro o altra utilità per omettere o ritardare il compimento di un atto del suo ufficio, ovvero per compiere un atto contrario ai doveri del suo ufficio” per questa fattispecie la pena prevista dal legislatore è la reclusione da 6 a 10 anni. Dal testo della norma ci si accorge di come il legislatore non punisca unicamente l’esecuzione del fatto, ma dia importanza anche solo alla promessa anche se questa poi non venisse a realizzarsi avrà come valenza ai fini dell’applicazione della pena, e questo certamente non è un mero dettaglio da tralasciare.
Ciò che si può ancora sottolineare è che la norma richiama anche l’extraneus, il privato concorrente necessario che corrompe il funzionario e che sarà punito a norma dell’art. 321 c.p.
Il reato si esplica in quella che è la contrarietà a leggi, regolamenti, al dovere d’ufficio in quanto ciò che si ha cura di preservare è il bene giuridico del buon andamento della PA che viene leso da condotte scorrette della PA la quale ha l’obbligo di trattare in maniera eguale tutti i cittadini rimanendo quindi estranea agli interessi di carattere individuale.
L’art. 318 c.p. si differenzia dall’art. 319 c.p. in quanto è quest’ultima norma che sanziona la corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio,mentre la prima si limita a postulare che la dazione o promessa di dazione indebita rivolta al pubblico ufficiale abbia ad oggetto “l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri” senza null’altro aggiungere[2].
La domanda che dalla Cassazione è stata posta è se l’attività posta in essere da un membro del Parlamento che sia anche membro dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa possa essere classificata come attività svolta da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio rilevante a norma dell’art. 318 c.p.
La Cassazione non pare avere quindi dubbi, ritenendo che dal dato normativo dell’art. 358 c.p. comma 2 si possa facilmente dedurre che “l’attività di controllo ed indirizzo politico svolta dai Membri del Parlamento perseguendo la gestione della cosa pubblica ed essendo dalla Costituzione disciplinata sicuramente è configurabile come attività disciplinata nelle forme della pubblica funzione a cui fa riferimento l’art. 318 c.p”.
Proseguendo, si dà per certa la conoscenza dell’art. 68 della Cost. il quale è rubricato “Immunità Parlamentare”, e ci si chiede se l’accordo che intercorre tra membro del Parlamento, che è parlamentare anche al Consiglio d’Europa, e il corruttore volto alla dazione o solo promessa di dazione di utilità, sia coperto o meno da immunità secondo quanto disposto dal su citato art. 68 Cost. La Suprema Corte è a tal riguardo intervenuta rispondendo negativamente al quesito e sottolineando che la norma tratta delle immunità in favore delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio della funzione del parlamentare, ma l’art. 318 c.p. non implica alcun sindacato sull’esercizio della funzione in quanto, la condotta presa in esame è solo quella che, collocandosi al di fuori delle funzioni legislativamente riconosciute al Parlamentare, si concretizza in realtà in una indebita utilità.
C’è una contaminazione qui tra interessi particolari e collettivi che preclude che la configurabilità del reato di corruzione, per l’esercizio della funzione, possa essere in linea quindi con la specificità della funzione parlamentare in quanto ricevere un’utilità propria quindi specifica ed individuale va a configurarsi come sfruttamento ai fini privati dell’esercizio dell’altissimo ufficio pubblico ricoperto[3]. Come casi concreti di condanna sono quello dell’ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, il quale fu condannato, apunto, dal Tribunale di Napoli[4] per corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio e un caso ancor più recente è stato quello di Luca Volonté. Per questo caso i supremi giudici hanno accolto il ricorso della Procura di Milano contro il proscioglimento dell’ex deputato dell’Udc accusato di aver ricevuto da politici azeri una tangente da 2 milioni 390.000 euro per orientare il proprio voto come membro dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa in favore del governo dell’Azerbaijan. La motivazione dell’accoglimento del ricorso è che la corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 del codice penale, in base alla legge Severino), per la Cassazione, “non implica alcun sindacato sull’esercizio della funzione del parlamentare: infatti la condotta imputata è la stipulazione di un accordo per l’esercizio delle funzioni in cambio della promessa o della dazione di una indebita utilità. E ai fini della valutazione del giudice è indifferente l’effettivo successivo esercizio di tali funzioni e quindi non si verifica alcun sindacato sullo svolgimento dell’attività del membro delle Camere”[5].
La ratio dell’incriminazione della corruzione pare ravvisarsi nella necessità forte di impedire ed ostacolare il disonore che tale reato proietta nella categoria di coloro che perseguono i pubblici interessi e quindi la PA stessa, espressa in ogni sua articolazione in ossequio ai principi di correttezza e senza alcun torna conto o vantaggio individuale.
Quindi a conclusione si sottolinea come possa sembrare paradossale la configurazione della corruzione in questo modo, la quale potrà essere posta a carico dei membri del Parlamento Europeo grazie alla presenza di leggi ed espliciti richiami normativi come gli artt. 314-315-316 e così via…e non possa al contrario essere invece imputata ai Membri del Parlamento italiano che alla pari del Parlamentari Europei svolgono una medesima attività volta al perseguimento delle stesse garanzie e funzioni ed espressione del medesimo corpo elettorale che elegge la Camera dei Deputati.
[1] Cassazione Penale n. 40237/2016
[2] Cassazione penale, n. 8211/2016
[3] Cassazione penale, Sez. VI, n. 36769/2017
[4] Tribunale di Napoli, sez. I,n. 11917/2015
[5] Cassazione penale, Sez. VI, n. 36769/2017