Il reato di concussione: le recenti modifiche legislative

 

Al pari del reato di corruzione, analizzato in precedenza, anche il reato di concussione è stato oggetto di importanti modifiche a seguito delle riforme intervenute con la legge n. 190 del 2012 e con la legge n. 68 del 2015.

Tuttavia, al fine di coglierne l’effettiva portata è necessario precisare i contorni ed i presupposti di tale fattispecie di reato.

L’art. 317 c.p., rubricato concussione, recita: “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o ad un terzo, denaro o altra utilità, è punito con la reclusione da sei a dodici anni.”

Dunque, già sulla base di una prima lettura della norma, si ricava l’elemento caratterizzante di tale delitto contro la Pubblica Amministrazione: il privato si qualifica come una vittima della condotta abusiva del pubblico ufficiale. Quest’ultimo, infatti, abusando del ruolo che gli compete, coarta la volontà del privato determinandolo alla dazione o alla promessa di utilità a suo vantaggio. Pertanto il privato si configura quale persona offesa e può anche costituirsi parte civile nel processo penale.

Pertanto è proprio la posizione attiva del solo pubblico ufficiale l’elemento che contraddistingue tale reato da quello di corruzione, in cui il legislatore incrimina il vero e proprio accordo tra il pubblico ufficiale ed il privato che si trovano, così, ad agire in una posizione di sostanziale parità. La corruzione, è caratterizzata, quindi, da un vero e proprio patto liberamente e consapevolmente concluso.

Nel reato di concussione sono due i beni giuridici offesi: l’imparzialità ed il buon andamento della pubblica amministrazione da un lato e la libertà di autodeterminazione del privato dall’altro, per cui può essere certamente qualificato come un reato di natura plurioffensiva e di tipo monosoggettivo.

Altro elemento caratterizzante tale reato è quello dell’abuso: quest’ultimo può riguardare sia la qualità sia il potere esercitato dal pubblico ufficiale.

Nel primo caso non è sufficiente che il pubblico ufficiale si limiti a dichiarare o sfoggiare la propria qualità: per aversi una condotta penalmente rilevante è necessario che il pubblico ufficiale strumentalizzi la propria posizione di preminenza rispetto al privato. Secondo una parte della dottrina, l’abuso di qualità viene perpetrato in particolare nell’ipotesi di incompetenza del pubblico ufficiale. L’abuso dei poteri, invece, si configura allorquando il pubblico ufficiale eserciti un potere, di cui ha competenza, in modo distorto, al fine di perseguire un fine diverso da quello per cui il potere gli è attribuito. A ciò si aggiunge il presupposto della costrizione, attraverso il quale il pubblico ufficiale strumentalizza un comportamento o un atto del proprio ufficio al fine di perseguire un vantaggio personale ed egoistico.

Alla base di tale fattispecie di reato possiamo, quindi, evidenziare la sussistenza di una coercizione psichica della vittima, mediante prospettazione di un male ingiusto.

Infine, per quanto concerne l’elemento psicologico, questo è rappresentato dal dolo generico, che si estrinseca nella coscienza e nella volontà di porre in essere la condotta criminosa.

Ora dobbiamo chiederci: quali sono state le modifiche apportate dalla legge 190 del 2012?

In realtà il delitto di concussione, nell’impostazione originaria del codice Rocco, prevedeva due fattispecie, entrambe disciplinate dall’art. 317 c.p.: la concussione per costrizione e quella per induzione, equiparate dal punto di vista sanzionatorio. Tale definizione risultava perfettamente coerente con la struttura dello stato totalitario ed autoritario del tempo, volto a reprimere qualsiasi tipo di condotta che pregiudicasse gli interessi della P.A., a prescindere dalle modalità realizzative.

Tuttavia nel corso degli anni si era manifestata l’esigenza di garantire in maniera più pregnante il fondamentale principio di proporzionalità della pena, per cui questa andava commisurata non solo all’apprezzamento dell’evento, bensì anche alle modalità della condotta perpetrata.

Sulla scorta di tali critiche, nel 2012 il legislatore è intervenuto a restringere l’ambito applicativo della fattispecie del reato di concussione alla sola costrizione, introducendo una autonoma figura di reato, ovvero quella di “induzione a dare e promettere utilità” ex art. 319 quater c.p.

“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, abusando della qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da sei anni a dieci anni e sei mesi.

Nei casi previsti dal primo comma, chi dà o promette denaro o altra utilità è punito con la reclusione fino a tre anni.”

Il legislatore prevede, così, un trattamento sanzionatorio più lieve al fine di garantire il rispetto del principio di proporzionalità.

Ci si è domandati, a questo punto, quale debba essere l’elemento distintivo delle due fattispecie.  Si sono registrate diverse tesi in materia.

Un primo orientamento ha utilizzato il criterio della intensità della pressione prevaricatrice: la fattispecie dell’art. 317 c.p. risulterebbe caratterizzata da una grave limitazione della libertà personale della vittima, quella dell’art. 319 quater c.p., al contrario, da una mera forma di persuasione, suggestione o pressione morale.

Un secondo orientamento, ha individuato il discrimennell’oggetto della prospettazione: danno ingiusto e contra iusnella concussione, danno legittimo e secundum ius nella induzione indebita.

Un terzo orientamento intermedio si è rifatto al criterio discretivo della diversa intensità della pressione psicologica esercitata sul privato.

Il contrasto è stato risolto definitivamente dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 12228 del 2013, incentrandosi sulla punibilità del privato ed individuando, specificamente, il criterio discretivo tra il concetto di costrizione e quello di induzione nella dicotomia minaccia-non minaccia.

“L’induzione va intesa come alterazione del processo volitivo altrui, che, pur condizionato da un rapporto comunicativo non paritario, conserva, rispetto alla costrizione, più ampi margini decisionali, che l’ordinamento impone di attivare per resistere alle indebite pressioni del pubblico agente e per non concorrere con costui nella conseguente lesione di interessi facenti capo alla pubblica amministrazione. Le modalità della condotta dell’induzione non possono che concretizzarsi nella persuasione, suggestione, allusione e perfino nell’inganno.”

Per cui nel caso della costrizione verrà prospettato al privato un male ingiusto, mentre nel caso della induzione un vantaggio indebito. Proprio in virtù di ciò, il privato nella fattispecie della induzione non si configura come mera vittima del reato e, in quanto tale, è punito ai sensi del secondo comma. Il legislatore ha voluto dare vita ad una fattispecie plurisoggettiva e monoffensiva, in quanto l’interesse dell’indotto non si considera leso, altrimenti avrebbe dovuto configurarsi quale persona offesa dal reato.

Bisogna ricordare, inoltre, che la riforma del 2012 aveva apportato anche un’ulteriore modifica alla fattispecie dell’art. 317 c.p., eliminando il riferimento all’incaricato di un pubblico servizio, quale soggetto attivo del reato, in quanto non dotato dei tipici poteri certificativi e deliberativi del pubblico ufficiale.

Nella prassi si era riscontrata, tuttavia, una frequente tendenza alla realizzazione di tale reato anche da parte dell’incaricato di un pubblico servizio, con la conseguenza che si doveva propendere per l’applicazione dell’art. 629 che disciplina l’estorsione, aggravata dall’ipotesi dell’art. 61 comma 9 c.p. di abuso di qualifica soggettiva, giungendo all’esito paradossale di un trattamento sanzionatorio irragionevolmente più severo rispetto a quello previsto dall’art. 317 c.p.

Proprio in tale contesto si innesta la riforma apportata dalla legge anticorruzione 69 del 2015, che, relativamente alla concussione, all’art. 3 prevede un ampliamento dei soggetti che risultano legittimati a porre in essere il reato.  Pertanto, viene nuovamente affiancato al pubblico ufficiale l’incaricato di un pubblico servizio, in quanto, come si evince dalla relazione illustrativa al progetto originario, “non ha senso punire soltanto il primo [pubblico ufficiale], quando lo stesso comportamento può essere posto in essere da un concessionario di un servizio pubblico con effetti parimenti devastanti sull’etica dei rapporti”.

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